Inutile negarlo: che fossimo favorevoli al no o al sì poco cambia, tutti i professionisti del settore economico hanno vissuto con preoccupazione l’attesa per i risultati del referendum in Grecia, e tutti quanti guardano con interesse, ma anche con un minimo di apprensione, l’evoluzione delle trattative a seguito della vittoria del fronte “oki”. Noi siamo un blog che parla di assicurazioni, quindi non entreremo nel merito politico della scelta del popolo greco, ma ci limiteremo ad analizzare le possibile conseguenze che questa potrebbe avere sulle banche, sulle assicurazioni, e in generale sulle nostre finanze.
Il no dà più peso alla BCE
Se in caso di vittoria del sì ci sarebbe stata la prosecuzione della linea già in atto, che prevedeva la restituzione da parte della Grecia di 1,6 miliardi di dollari all’FMI (il Fondo Monetario internazionale), con quella del no il potere di vita o di morte sulla nazione ellenica passa di fatto alla BCE (la Banca centrale Europea), che avrà il compito di tenere in vita le banche greche, o viceversa se lo ritenesse opportuno di lasciarle collassare senza pietà.
L’ex ministro delle finanze Yanis Varoufakis aveva tranquillizzato la popolazione prima del referendum dicendo che le banche avrebbero riaperto i battenti il lunedì mattina, ma la previsione era troppo ottimistica, poiché sottintendeva un aiuto certo della BCE, che tuttavia non è ancora arrivato … al momento la liquidità nelle casse degli istituti è troppo bassa, percui la popolazione non può beneficiare a pieno dei servizi, anzi stando alle dichiarazioni del viceministro Nadia Valavani ci saranno blocchi anche sui beni posti nelle cassette di sicurezza, per scongiurare in ogni modo il tracollo, in attesa che l’Europa si impietosisca e presti nuovo denaro alla Grecia.
La situazione in realtà tende ad essere meno pessimistica di quanto sembri, perché anche se formalmente come abbiamo detto è la BCE che a questo punto deciderà le sorti della finanza ellenica, di fatto il Fondo Monetario Internazionale secondo le parole della direttrice Christine Lagarde è a sua volta disposto a chiudere un occhio e a prestare altri soldi pur di non vederla affondare, anche se tecnicamente questo non potrebbe avvenire poiché la Grecia risulta ormai insolvente sulla rata … insomma, semplificando al massimo Tsipras può contare sia sul possibile aiuto della BCE che su una mano tesa a malincuore e nonostante le regole dal Fondo Monetario Internazionale.
Perché salvare le banche è importante?
Apparentemente inutile da ricordare -ma lo facciamo comunque poiché vediamo in giro una scarsa comprensione di dinamiche apparentemente logiche- è il fatto che se venissero meno gli aiuti e le banche greche crollassero per mancanza di liquidità, le conseguenze sociali nei confronti della popolazione greca sarebbero sgradevoli … non usiamo la parola catastrofiche poiché chi lo ha fatto negli ultimi giorni è stato bollato di catastrofismo, ma basti pensare che i cittadini perderebbero i loro risparmi e le aziende dovrebbero proseguire la loro attività senza fare ricorso alle banche per capire quanto in realtà la popolazione sarebbe penalizzata dal crollo del sistema bancario … sembra ragionevole pensare inoltre che una volta che i greci non avranno più denaro consumeranno meno, al punto da rischiare di fare collassare l’intero sistema economico greco, già abbondantemente minato dall’austerity degli ultimi anni, lo scenario sarebbe dunque quello di una Grecia post referendum che per mantenere la propria indipendenza e ripartire senza passare per il default è costretta a tenere in vita le banche.
Il rischio default non dipende dall’esito del referendum
Si è letto più volte che se avesse vinto il no al referendum in Grecia, questa sarebbe andata rapidamente verso il default, ma questo non è vero in sé e per sé per i seguenti motivi:
- la vittoria del no al referendum ha come conseguenza diretta l’insolvenza nei confronti del Fondo Monetario Internazionale, che è un istituto pubblico, mentre le procedure di default si avviano per mano di creditori privati
- la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale possono tenere in vita la Grecia anche se questa è insolvente, prestandole altro denaro (non si sa bene con quale speranza di farselo restituire) o continuando ad accettare come garanzie titoli di di debito, che presumibilmente varranno sempre meno.
il rovescio della medaglia, che potrebbe portare al default, è che anche i creditori privati vedendo che la Grecia non restituisce soldi all’FMI potrebbero allarmarsi e volersi affrettare a vedere restituiti i loro soldi, in quel caso il rischio default diventerebbe davvero concreto … ma siamo relativamente convinti che i privati finché vedranno i Greci godere dei soldi che arrivano dal resto d’Europa difficilmente saranno aggressivi e frettolosi di avere indietro i loro pagamenti.
Il default non farebbe uscire la Grecia dall’euro
L’ultimo punto da chiarire è che di per sé se la Grecia facesse default non uscirebbe automaticamente dall’eurozona, anche in questo caso per una serie di motivi:
- legalmente non si può espellere dalla zona euro un Paese membro “solo” perché ha fatto default, al limite dovrebbero essere i greci ad autoescludersi
- tornare alla dracma potrebbe avere senso al limite prima del fallimento, ma non dopo, poiché convertire i debiti e i soldi dei cittadini in una moneta che rischia la svalutazione quando lo si poteva fare prima di perdere ogni credibilità di fronte ai creditori
- rinunciare agli aiuti dell’Europa sicuramente vedrebbe la Grecia guadagnare autonomia nei confronti degli altri Stati membri, ma con l’effetto di dovere chiedere aiuto ad altre nazioni, rischierebbero semplicemente di spostare la loro sudditanza economica dalla Germania e dagli altri Paesi UE verso nazioni come Russia e Cina, ma non guadagnerebbero un’indipendenza reale dal denaro altrui
“Non lasceremo andare Atene alla deriva”
Cercando di essere più realisti possibile, ma senza volere negare le conseguenze sociali che l’esito del referendum greco avrà, possiamo dire che ci sentiamo di dare peso all’affermazione del ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble che -più o meno interessatamente!- ha detto “Non lasceremo andare Atene alla deriva”. Se FMI e BCE chiudessero i ponti per gli aiuti istituzionali, con la conseguenza del collasso bancario e dunque dell’economia greca, nella nazione prima o poi verrebbero a mancare tutte quelle cose che essi sono costretti ad acquistare dall’estero (ricordiamo che la Grecia produce ben poco!) … vogliamo sperare che nel caso i greci rimanessero senza soldi, farmaci e forse anche alimenti di prima necessità, si passerebbe dai piani di aiuto ordinari a quelli straordinari, di tipo umanitario.
In caso di uscita dall’euro si potrebbe decidere di non dare il colpo di grazia alla Grecia chiedendo immediatamente indietro quanti più soldi possibili, ma sedersi al tavolo delle trattative per accettare cambiali, che sommate agli aiuti umanitari potrebbero dare alla nazione l’energia positiva per ripartire con nuove forme di produzione e nuove realtà aziendali (come accadde in Argentina ai tempi del default), ricordando infine che anche un eventuale uscita dall’euro potrebbe essere solamente temporanea, fino a quando Atene non dovesse riguadagnare la credibilità -ma in un certo senso anche la dignità di nazione non strozzata dai debiti che i cittadini sembrano accusare in prima persona- e in un futuro, quando le cose dovessero andare un po’meglio, si potrebbe sempre ripartire con un percorso condiviso.