Mario Draghi: il keynesiano che piace alle assicurazioni?

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Mario Draghi di che partito è?

Questa è la domanda che in molti si stanno facendo negli ultimi giorni, da quando il banchiere romano è stato chiamato a sostituire Giuseppe Conte in veste di Presidente del Consiglio.

La domanda non è sbagliata, ma quantomeno mal posta:

trattandosi non di un politico ma di un economista (per quanto con una spiccata vena diplomatica) ci si dovrebbe chiedere più che altro quale sia la sua visione economica.

Vediamo di rispondere a questo quesito, con un occhio di riguardo al mondo delle assicurazioni, che (ve lo anticipiamo già) pare in un certo senso gradire l’avvento dell’ex presidente della BCE al comando del nuovo governo.

Il curriculum di Mario Draghi, in breve

Mario Draghi è nato a Roma nel 1947, il padre ha trascorsi lavorativi in Banca d’Italia, Iri e BNL, ma lo lascia orfano a soli 15 anni.

Gli studi e l’insegnamento universitario

Il ragazzo studia dai gesuiti dell’Istituto Massimiliano Massimo, per poi laurearsi alla Sapienza con una tesi su Integrazione economica e variazione dei tassi di cambio, con relatore Federico Caffè, noto economista keynesiano scomparso misteriosamente nel 1987.

Nel 1971 Federico Modigliani lo segnala per il Massachussets Institute of Technology, dove consegue il PhD sotto la supervisione di Robert Solow.

Mario Draghi insegna alle università di Trento, Padova, alla Ca’Foscari di Venezia e a Firenze, quindi nel 1983 inizia la sua nuova vita lavorativa.

La carriera fuori dall’università

Nel 1983 diventa consigliere di Giovanni Goria nel governo a trazione socialista capitanato da Bettino Craxi, per poi diventare direttore esecutivo della Banca Mondiale, ruolo che ricoprirà dal 1984 al 1990.

Nel 1991 Guido Carli lo vuole come direttore generale del Ministero del Tesoro, carica che ricopre nei governi Andreotti VII, Amato I, Ciampi, Berlusconi I, Dini, Prodi I, D’Alema I e II, Amato II e Berlusconi II.

Goldman Sachs e Banca d’Italia

Nel 2002 Mario Draghi diventa dirigente di Goldman Sachs e si trasferisce a Londra, dove rimane fino al 2005, quando passa dalla banca d’affari a Bankitalia, chiamato a sostituire Antonio Fazio e a riparare lo scandalo bancopoli.

Financial Stability Board e BCE

Dal 2006 al 2011 Draghi è presidente del Financial Stability Board, fino a quando viene ufficializzata la sua candidatura alla Banca Centrale Europea come successore di Jean Claude Trichet.

In Banca d’Italia gli succede Ignazio Visco, mentre Mario Draghi aumenta notevolmente la propria fama gestendo la crisi del debito sovrano europeo con autorità, tanto da essere nominato nel 2012 Uomo dell’anno sia da Financial Times che da The Times.

Il 2015 è l’anno del Quantitative Easing, che permette l’acquisto da parte della BCE di titoli di Stato dell’Eurozona per un valore di oltre 60 miliardi di euro.

Nel 2019 passa il testimone a Christine Lagarde, forte del suo ruolo di 18° uomo più potente al mondo secondo la classifica di Forbes.

Mario Draghi: le idee e la politica

Sebbene Mario Draghi sia tradizionalmente ascritto come uomo di destra, questo avviene per esclusione (poiché sicuramente non è di sinistra!), in realtà trattandosi di un economista vanno analizzate soprattutto le due idee riguardo alla dottrina economica più che quelle sui partiti politici.

Indubbiamente ciò che di Mario Draghi è rimasto maggiormente nell’immaginario popolare è il celebre discorso del Whatever it takes, che permise il lancio del QE e soprattutto salvaguardò da effetti distastrosi Italia e Spagna, due economie importanti per l’Unione Europea ma con grossi problemi di debito.

Se da giovane (non a torto) riteneva ancora prematura la costituzione di una moneta unica europea, con il passare degli anni, ma soprattutto con il cambiare degli eventi, passò da una visione monetarista ad una più keynesiana dell’economia;

non ci sentiamo di dire che Mario Draghi abbracci completamente la teoria di Keynes, ma gli va dato atto di averla fatta digerire a molti avversari, nonché ad enti come la Bundesbank tradizionalmente avversi all’intervento pubblico nell’economia.

I fallimenti di Mario Draghi

Per rimanere obiettivi il più possibile facciamo anche una breve disamina di quelle che sono le macchie nel curriculum di Mario Draghi (li abbiamo chiamati fallimenti, ma sarebbe più corretto parlare di defaillances).

La crisi del debito greco

Come governatore della BCE Draghi non riuscì ad evitare il collasso della Grecia e della sua fragile economia:

le banche (soprattutto francesi e tedesche) vogliono stare al sicuro, e la crisi viene scaricata sulle spalle soprattutto del popolo greco, che si avvia a un periodo di austerity che dura a tutt’oggi;

la BCE in tutto questo sta a guardare la Grecia vessata dai big dell’Europa, e a tratti rincara la dose, lasciando intendere che è pronta a staccare la spina se Atene non obbedirà alla Germania.

Mario Draghi non ha mai rinnegato quanto fatto dalla BCE nella vicenda greca, affermando che tutto sommato il lavoro è stato buono considerate le condizioni di partenza.

Il panfilo Britannia

Questo tra i cosiddetti errori di Mario Draghi è di gran lunga il più sopravvalutato, ma lo citiamo comunque poiché è anche quello di cui si è parlato maggiormente:

nel 1992 Mario Draghi fa una visita alle delegazioni presenti sul panfilo Britannia, dove i big della finanza internazionale stavano stringendo accordi privati, nemmeno troppo segreti.

Draghi illustra il progetto di privatizzazione di molte aziende italiane, abbracciando questa volta teoria economiche riconducibili alla Scuola di Chicago, con scarso o nullo intervento dello Stato nelle vicende dell’economia.

In questo caso non si rimprovera tanto a Mario Draghi di avere preso parte alla riunione (che non era illegale, ma della quale comunque non ha fatto parte), quanto piuttosto di avere fatto visita in una sede poco consona al suo ruolo;

è pur vero che si trattò di una comparsata di pochi minuti, probabilmente fatta con l’intenzione di salvaguardare l’Italia da problemi ben peggiori, ma rimane a distanza di decenni un avvenimento sgradito a molti.

Draghi e il Monte dei Paschi di Siena

La gaffe più imbarazzante di Mario Draghi nella sua lunga storia lavorativa rimane, a nostro avviso, non avere vigilato a sufficienza su MPS, non impedendo di fatto lo scandalo che ne scaturì.

L’economista romano era a capo della Banca d’Italia quando Montepaschi acquistò Veneto Banca e la Popolare di Vicenza, strapagate con evidenti ripercussioni sugli innocenti risparmiatori … ad oggi non abbiamo ancora chiaro come da Via Nazionale nessuno aprì bocca quando ancora si poteva fare qualcosa.

Fiducia da parte delle assicurazioni

Come premesso diamo un’occhiata alla vicenda anche dal punto di vista delle compagnie di assicurazione, che hanno subito espresso fiducia al banchiere:

cpme ha affermato la presidente Ania Maria Bianca Farina, al termine dell’incontro con il premier incaricato, le assicurazioni sono pronte

“ad essere presenti in maniera centrale in questa difficile e storica operazione di rilancio che ci apprestiamo a vivere (…)

il contributo che gli assicuratori possono dare poggia su due pilastri dell’industria assicurativa.

Da una parte la protezione di cittadini e imprese, dove il governo non arriva, in una partnership pubblico-privata;

dall’altra investimenti a lungo termine, che sono la caratteristica degli investimenti del mondo assicurativo proprio per la caratteristica del risparmio che viene affidato agli assicuratori”.

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